Erano molti anni che non indossavo una divisa antincendio e nei giorni precedenti al mio “primo giorno di lavoro” (nonostante gli oltre venti anni di servizio di cui dieci passati su ogni tipo di mezzo aereo antincendio) l’avevo provata e riprovata con attenzione per capire come indossare e come funzionano tutti i più recenti dispositivi di protezione. Sapevo bene che sugli incendi, spesso con tanti occhi puntati sul nostro operato, non sono consentiti margini di incertezza, anche sul come adoperare gli strumenti in dotazione più semplici e banali.
A differenza di altri, non ho mai avuto dubbi sulla utilità e sul ruolo del Corpo Forestale nella lotta agli incendi. Sia nel coordinamento degli interventi di spegnimento, sia nell’attività di indagine per assicurarne alla legge i responsabili. Nessuna delle due attività probabilmente sarà mai risolutiva di un fenomeno che in sardegna ha profonde radici storiche e culturali (che trovano il loro “terreno fertile” nel nostro clima e nella nostra vegetazione) ma sono convinto che entrambi rendano il nostro servizio alla società in cui viviamo prezioso ed insostituibile.
La mia “prima giornata antincendio” dopo molti anni di lavoro “amministrativo” inizia da apprendista dietro i colleghi che controllano minuziosamente automezzi e attrezzature, caricando a bordo tutto quello che serve per affrontare le possibili emergenze che non si sa mai mai quando finiscono. In attesa della prima chiamata si trova anche il tempo per togliere la polvere dai sedili con un vecchio aspirapolvere portato da casa. Una giornata di lavoro che procede “tranquilla”; un intervento in un canneto (con qualche fuoriprogramma nella melma) ed uno successivo nel quale alcune case di campagna sono state circondate dalle fiamme che, pur senza gravi pericoli (si trattava di semplici sterpaglie), erano alimentate da un forte vento ed hanno creato preoccupazione, ed in qualche caso vero e proprio panico, fra i loro abitanti.
In questa ultima circostanza siamo arrivati già “bardati” di casco, maschera e guanti, “affumicati” dal precedente intervento, ed appena sceso dall’autobotte mi sono trovato di fronte una bambina che da dentro il giardino di casa sua (nel quale arrivavano in pieno i fumi dell’incendio) si avvicinava velocemente verso di me, io pensavo semplicemente incuriosita dal nostro arrivo. Al mio sorridente “stai tranquilla adesso in poco tempo spegniamo l’incendio” rispondeva uno sguardo impaurito ed un quasi trepidante “si si grazie” che di colpo hanno lasciato trasparire la paura di un bambino di perdere il posto che ha più caro e la sua speranza che questi uomini in divisa potessero aiutare la sua famiglia. Poi il fumo, il caldo e l’impegno per mettere definitivamente in sicurezza l’incendio, mi hanno fatto mettere da parte il ricordo di quel brevissimo incontro con quella bambina.
Quella sera, dopo le immagini del telegiornale della notte che raccontava dell’ennesimo bombardamento sulla striscia di Gaza nel quale si faceva il triste resoconto di bambini uccisi e delle migliaia di persone che avevano perso tutto quello che avevano, mi apprestavo ad addormentarmi con l’angoscia di chi non riesce a rassegnarsi agli orrori della guerra e le paure di un genitore che sa che i propri figli dormono tranquilli, ma che si immedesima nelle sofferenze di questa povera gente.
Uomini in divisa, pensavo, che in nome della “legittima difesa” del loro popolo causano la morte di bambini e distruggono le loro case. Il mio ultimo pensiero prima di addormentarmi è stato quello di sperare che un giorno tutte le divise, di qualsiasi colore esse siano, possano rappresentare per tutti i bambini del mondo un simbolo di protezione e sicurezza. In quel momento mi è tornato in mente il viso impaurito della bambina che avevo incontrato durante l’incendio e per un attimo mi sono sentito pervadere da una sensazione di orgoglio per la mia divisa e per il lavoro che faccio.