Si è riunito nei giorni scorsi a Cagliari il Comitato Unico di Garanzia che “muove i primi passi” nelle complesse e delicate materie di competenza e focalizza la propria attenzione di questi giorni sulla realizzazione di un questionario sul “benessere lavorativo”. Una serie di test che nei prossimi mesi saranno somministrati ai dipendenti per raccogliere dati utili a comprendere quali siano le principali fonti di stress del lavoro che dobbiamo svolgere e quali possono essere le soluzioni per rendere migliore, anche nell’interesse della produttività dell’amministrazione, la qualità della nostra vita lavorativa.
Valutare le fonti di stress a cui è sottoposto un lavoratore è già da molti anni una pratica diffusa in molte parti del mondo, dapprima riferita soltanto alla produttività dell’azienda, poi in seguito, con una visione più complessiva riferita alla salute ed alla qualità della vita dei lavoratori trovando il consenso ed il supporto di importanti istituzioni come l’Organizzazione Mondiale di Sanità. In Italia questa pratica è stata adottata solo di recente ed ancor di meno nelle pubbliche amministrazioni dove il personale, secondo l’opinione comune, vive uno status di “privilegio” che lo esonera quindi da dover subire qualsiasi elemento negativo legato al lavoro che possa compromettere la sua salute.
Le cause dello “stress lavorativo” sono numerose (“stressors”) e possono anche essere esterne all’amministrazione (ad esempio i rapporti con l’utenza) da ricercarsi principalmente nell’organizzazione, nella capacità di coinvolgere e motivare i dipendenti per consentire loro (così come dicono i principali testi che definiscono il benessere lavorativo) “di agire in maniera autonoma e consapevole per realizzarsi pienamente, utilizzando le risorse individuali e collettive disponibili“. Spesso queste condizioni si verificano solo in parte o non si realizzano per niente generando conflitti di ruolo, difficoltà nella gestione e insoddisfazione personale.
Il lavoro può rendere felice un giovane (e non solo) che alla prima occupazione vede nel proprio lavoro la sicurezza e la realizzazione dei suoi sogni, ma è innegabile che l’insieme degli elementi legati al ruolo che ognuno di noi deve svolgere, può nel tempo generare situazioni di sofferenza latente che, nella maggior parte dei casi si limitano ad una diffusa sensazione di insoddisfazione personale accompagnata dall’appiattimento dell’attività lavorativa, in altri casi sfociano in vere e proprie patologie che arrivano a manifestarsi con forme di depressione, abuso di alcol o addirittura favoriscono (fenomeno che noi del Corpo abbiamo conosciuto bene) gesti estremi come il suicidio.
Sappiamo bene che il processo che può migliorare la qualità della vita lavorativa non è semplice nè immediato ma pensiamo che interrogarsi sulle sue possibili soluzioni sia certamente un segnale positivo che va sostenuto e valorizzato. Mentre l’Amministrazione cerca le soluzioni per renderci “più felici”, dovremo anche chiederci se facciamo abbastanza per migliorare il nostro ambiente di lavoro. Magari ogni tanto potremo chiederci noi cosa fare per aiutare il nostro collega “ad agire in maniera autonoma e consapevole”, per cercare di “farlo realizzare pienamente” o semplicemente per migliorare la sua giornata. Qualcuno sostiene che le attenzioni ed i gesti positivi che abbiamo per gli altri finiscono in qualche modo per migliorare anche la nostra vita. A noi piace crederci.